Testo di riferimento:
A.Castagnoli, E. Scarpellini, Storia degli imprenditori in Italia, Torino : Einaudi, 2003
Un concetto di base: la Storia
VOCE: storia
(in: N. Pethers, J. Ruchatz, Dizionario della memoria e del ricordo, Milano : Bruno Mondadori, 2002)
La scrittura della s. (—> storiografia) e la memoria sono da sempre discorsivamente congiunte l’una con l’altra. Tuttavia, mentre nel XX secolo la memoria registrava la sua maggior fortuna come oggetto di riflessione, non così accadeva per la s., che viveva, nella sua recezione culturale, una profonda crisi. Un primo problema è la polivocità del termine s.: esso può indicale innanzitutto ciò che è successo un tempo; in secondo luogo significa l’indagine su ciò che è successo un tempo; in terzo luogo il racconto che ne stabilisce il senso (--> narrazione). Per lo più si intendono per s. tutti e tre i significati sopra menzionati, di volta in volta dando più o meno peso all’una o all’altra accezione. Il primo significato, a ogni modo, permane soltanto nella lingua di tutti i giorni. L’idea che ciò che accade possa essere percepito e ricordato solo selettivamente (—> selezione) ha portato alla proposta di non definire più come “s.” ciò che è accaduto: «storia non è la somma degli accadimenti, non tutto l’accadere di tutte le cose, ma piuttosto una conoscenza dell’accadere e, quindi, l’accadere conosciuto» ( J.G. Droysen, ‘storica; —) ricostruzione). Il sapere, però, secondo quanto sostiene A.C. Danto, si organizza narrativamente indipendentemente dal fatto che esso sia trasmesso per via orale o scritta (- trasmissione culturale). Se è vero che «la cultura del ricordo è anzitutto relazione con il passato» ( J. Assmann), d’altra parte è altrettanto vero che la s. è un concetto centrale del discorso sul ricordo. Questo rapporto si può attuare come un serbare testimonianze dell’accadere passato archiviandole (--> archivio, --> documento, --> traccia), oppure come un’evocazione del passato orientata verso il presente, o infine come una prognosi del —> futuro che trae spunto dal —> passato (—> attesa, —> previsione).
In Europa si possono distinguere tre periodi per quanto riguarda la narrazione della s.: dapprima la s. assume la forma di singole storie senza un filo comune; poi le singole storie si riuniscono in un fascio che alimenta il singolare collettivo s.; infine, con il )0( secolo, assistiamo alla decadenza di questa nozione di s. come singolare collettivo. Modello della s. come narrazione di singole storie sono le Storie di Erodoto. Esse sono caratterizzate dalla rinunzia a stabilire connessioni sistematiche e fondanti fra gli eventi. Perciò Aristotele definiva la s. scienza del concreto e la classificava come non filosofica. Dal punto di vista di Erodoto allo storiografo spetta il ruolo di custode del ricordo di singoli —> eventi. Questo modello ha dominato la scrittura della s. fino all’età moderna (—> cronaca), malgrado il tentativo di una storiografia che attribuisce valore ai nessi e alle costanti sia già presente, per esempio, in Tucidide. La nascita della scienza storica come disciplina universitaria autonoma a partire dal XVII secolo è coincisa con l’elaborazione del singolare collettivo s., che congiunse le singole storie in un concetto teorico universale e determinò la formulazione di svariati abbozzi di —> filosofia della storia. La storia universale venne intesa come un insieme di nessi dotati di un senso oggettivo e fra loro coerenti. Attraverso questo processo la s. divenne concettualmente il contrario della memoria, che è collegata ai ricordi di un singolo individuo o di una collettività. «Non esiste alcuna memoria universale», sosteneva —> M. Halbwachs (1987) e fissava l’inizio della s. là dove «la memoria sociale si affievolisce e si dissolve». Nel XX secolo i disegni di storia universale sono stati progressivamente messi in discussione. La s. è stata avvertita come «il dar senso a ciò che è privo di senso» (T. Lessing) che ha messo in luce la storicità dello stesso concetto di s., occultata dalla filosofia della storia classica: la storia universale si trasforma nella «storia multiversale» (E. Schulin).
Già nel mondo antico c’erano due diversi modi di concepire il rapporto fra s. e memoria: il primo interpretava la scrittura della s. come prolungamento e perpetuazione del ricordo. In questo senso Cicerone celebrava la s. come ciò che mantiene viva la fugace memoria («historia vita memoriae»). Di conseguenza, la scrittura della s. scaturisce nel momento in cui il ricordo passa dalla memoria comunicativa alla —> memoria culturale che, alimentata da quella, si emancipa dal depositati() individuale del ricordo. Una volta trascritta, la s. si può emancipare dalla memoria culturale. A partire da queste premesse, il secondo modo di concepire il rapporto fra s. e memoria giunge alla tesi che, alla lunga, la trascrizione del ricordo (- oralità, —> scrittura) disturberebbe la memoria e «sarebbe fonte dell’oblio» come, secondo —> Platone, avrebbe temuto il re egizio Thamus. Timore che, a detta di Giulio Cesare, avrebbero condiviso i druidi della Gallia. I due modi di concepire restano inconciliabili finché la s. viene considerata come prosecuzione discontinua o persino contrapposizione rispetto alla memoria stessa (individuale e collettiva). In questa prospettiva Halbwachs separava nettamente la costruzione sociale della —> memoria collettiva dalla s. che lui stesso concepiva come oggettiva. Nel frattempo, tuttavia, si è imposta la tesi generale che anche la storiografia sia mossa da interessi. Un accesso al passato è possibile solo passando attraverso le rappresentazioni collettive di quella che, di volta in volta, è la —> cultura dell’epoca, nonché attraverso testimonianze che devono essere interpretate o che costituiscono già esse stesse interpretazioni culturalmente condizionate. La s., o per meglio dire le s.e sono quindi un prodotto di «comunità del ricordo» (P. Burke).
La concezione secondo cui la s. sarebbe un prolungamento oggettivante della memoria indusse P Nora (1997) a formulare, di fronte alla perdita di qualsivoglia concetto di s. universale, la tesi che la differenza fra memoria e s. sarebbe insuperabile. La memoria sarebbe un’istanza assoluta della soggettività, mentre la s. in quanto scienza renderebbe relativa qualsiasi soggettività. Mentre la memoria fonderebbe la —> continuità la s. la distruggerebbe. Questa tesi sottointendeva l’esigenza di una scienza non più narrativa (—> storicismo). Nora trova una via d’uscita dal dilemma del¬la s. (Historie) che vieta di raccontare ma, al tempo stesso, deve efficacemente fondare il suo senso (parola d’ordine: politica della s.), nel concetto di —> luoghi della memoria: un’istanza in grado di accreditare «il vero ricordo» nel contesto dell’esperienza moderna del soggetto come discontinuità. II problema che pone questo concetto è quello dell’assenza di referenzialità, ovvero di autoreferenzialità, del luogo della memoria, la cui evidenza prelinguistica non è registrabile storiograficamente. La resurrectio di ciò che è definitivamente passato in un’immagine sia attualizzante che attuale non è realizzabile in assenza di un’istanza extrastorica gamento e perpetuazione del ricordo. In questo senso Cicerone celebrava la s. come ciò che mantiene viva la fugace memoria («historia vita memoriae»). Di conseguenza, la scrittura della s. scaturisce nel momento in cui il ricordo passa dalla memoria comunicativa alla —> memoria culturale che, alimentata da quella, si emancipa dal depositati() individuale del ricordo. Una volta trascritta, la s. si può emancipare dalla memoria culturale. A partire da queste premesse, il secondo modo di concepire il rapporto fra s. e memoria giunge alla tesi che, alla lunga, la trascrizione del ricordo (- oralità, —> scrittura) disturberebbe la memoria e «sarebbe fonte dell’oblio» come, secondo —> Platone, avrebbe temuto il re egizio Thamus. Timore che, a detta di Giulio Cesare, avrebbero condiviso i druidi della Gallia. I due modi di concepire restano inconciliabili finché la s. viene considerata come prosecuzione discontinua o persino contrapposizione rispetto alla memoria stessa (individuale e collettiva). In questa prospettiva Halbwachs separava nettamente la costruzione sociale della —> memoria collettiva dalla s. che lui stesso concepiva come oggettiva. Nel frattempo, tuttavia, si è imposta la tesi generale che anche la storiografia sia mossa da interessi. Un accesso al passato è possibile solo passando attraverso le rappresentazioni collettive di quella che, di volta in volta, è la —> cultura dell’epoca, nonché attraverso testimonianze che devono essere interpretate o che costituiscono già esse stesse interpretazioni culturalmente condizionate. La s., o per meglio dire le s.e sono quindi un prodotto di «comunità del ricordo» (P. Burke).
La concezione secondo cui la s. sarebbe un prolungamento oggettivante della memoria indusse P Nora (1997) a formulare, di fronte alla perdita di qualsivoglia concetto di s. universale, la tesi che la differenza fra memoria e s. sarebbe insuperabile. La memoria sarebbe un’istanza assoluta della soggettività, mentre la s. in quanto scienza renderebbe relativa qualsiasi soggettività. Mentre la memoria fonderebbe la —> continuità la s. la distruggerebbe. Questa tesi sottointendeva l’esigenza di una scienza non più narrativa (—> storicismo). Nora trova una via d’uscita dal dilemma della s. (Historie) che vieta di raccontare ma, al tempo stesso, deve efficacemente fondare il suo senso (parola d’ordine: politica della s.), nel concetto di —> luoghi della memoria: un’istanza in grado di accreditare «il vero ricordo» nel contesto dell’esperienza moderna del soggetto come discontinuità. II problema che pone questo concetto è quello dell’assenza di referenzialità, ovvero di autoreferenzialità, del luogo della memoria, la cui evidenza prelinguistica non è registrabile storiograficamente. La resurrectio di ciò che è definitivamente passato in un’immagine sia attualizzante che attuale non è realizzabile in assenza di un’istanza extrastorica. [...]
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